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Marcialonga nelle scuole

Si è svolto in data odierna un incontro tra le classi quinte delle scuole primarie di Molina, Casatta e Cavalese per dar inizio a quello che sarà il Progetto Marcialonga di quest’anno.

Insieme alla responsabile Barbara Vanzo e ai suoi collaboratori volontari, i ragazzi hanno potuto comprendere nel concreto che cos’è Marcialonga, che cosa significa “volontariato” e qual è il valore di entrambi all’interno della comunità delle due valli.

Successivamente i bambini, divisi in gruppi, hanno svolto ognuno il proprio compito come veri e propri volontari, seguendo la preparazione e l’allestimento della Marcialonga in miniatura dall’inizio alla fine. Gli insegnanti, invece, si sono messi in gioco partecipando alla competizione attrezzati di bastoncini, pettorale, medaglia e diploma finali.

Un momento di condivisione, di divertimento e di continuità tra le diverse scuole in cui i ragazzi hanno potuto socializzare con i propri coetanei con lo scopo di creare qualcosa insieme: scoprendo che l’unione fa la forza, sempre!

I ragazzi si prepareranno inoltre al concorso creativo di Marcialonga il cui tema sarà “I colori della neve”. Scopriremo più avanti che cosa hanno in mente di realizzare.

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III SEMINARIO RETE IDEA

Tutto pronto per il terzo seminario della Rete IDeA di cui l’Istituto comprensivo di Cavalese è capofila. A orchestrare i lavori del seminario saranno presenti i docenti coordinatori dei diversi progetti di ricerca-azione svolti nel corso dell’anno scolastico negli istituti della Rete.

Sono attesi al seminario più di 100 persone fra docenti e dirigenti da tutta la provincia di Trento e altri ospiti fuori provincia. Un buffet e un concerto sui temi dell’intercultura della band del prof. Caon concluderanno i lavori della mattinata.

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IN GITA AL MUSEO

Gli alunni, delle classi seconde della scuola primaria di Cavalese, visitano il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele All’ Adige.

Quando si esce da un museo, è come essere tornati da un viaggio di migliaia di anni, durato poche ore.

(Fabrizio Caramagna)

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Racconti d’avventura

Cavalese, novembre 2021

INTRODUZIONE

a cura dell’ins. Amanda Soverini

Gli alunni della IV A di Cavalese in questo periodo hanno immaginato e poi scritto un racconto d’avventura.

Il mio lavoro di insegnante è stato ridotto al minimo. Ho curato solamente la correttezza ortografica e sintattica dei testi.

Come il lettore vedrà, qua e là vi sono ancora talvolta limiti di coerenza narrativa ed un lessico un po’ ripetitivo; non manca neppure un’invasione di campo (quando siamo caduti nel fantasyJ). Su questo ho deciso di non intervenire onde non inficiare la freschezza e la genuinità dei racconti.

I miei sinceri complimenti vanno agli alunni che con grande impegno hanno lavorato per il successo di questa raccolta narrativa.

Buona lettura!

L’ISOLA

di Riccardo Bazzanella

Io e i miei amici eravamo andati in vacanza in barca.

All’improvviso sentimmo un odore strano e ci addormentammo.

Ci ritrovammo su un’isola circondati dagli indiani che stavano cantando: uga, uga. uga

Io avevo portato venti bottiglie di vino e di birra; le bevemmo e poi ubriachi scappammo.

Gli indiani ci stavano inseguendo lanciandoci frecce.

Quindi ci preparammo delle armi e una piccola capanna. Entrammo, con le armi ovviamente, e da quanto eravamo ubriachi urlammo così forte che gli indiani si spaccarono i timpani e quindi scapparono.

Il giorno dopo gli indiani ci avevano presi e legati.

“Dov’è Antoine?” domandò Riccardo.

Io risposi: “Non lo so! Gli indiani ci stanno portando sopra un vulcano attivo!”

“Oh no! Un altro indiano!” dissi “Ma no! È Antoine travestito!”

Antoine ci disse: “Ehi ragazzi! Vi slego io.”

“Grazie!!”

“Ma dove sei stato?”

“A fare la pipì!” risposi io.

“Ah, ah, ah! Davvero!!!?”

“Sì. Guardate dietro, gli indiani. Tranquilli, ci penso io.” disse Antoine “Buttiamoli nel vulcano!”

E tutti in coro: “SIIII’!”

3, 2, 1, via! Ecco fatto. Vincemmo.

Dopo una settimana andammo a vedere se la nostra barca c’era ancora, ma non era così…

“Oh no! Eccola là!”

Si stava allontanando dalla riva trasportata dalle onde.

“Nuotiamo insieme e andiamo a prenderla!” esclamò Sebastian.

Oh. Ce l’avevamo fatta. Finalmente tornammo a casa.

L’ISOLA

di Alessandro Marcialis

Ero in nave diretto in vacanza. Il mare era calmo, sembrava di essere in Sicilia.

Era notte, le luci della nave erano spente e tutti si stavano addormentando.

A un certo punto la nave si girò su se stessa.

La mattina, quando mi svegliai, mi resi conto che sulla nave non c’era nessuno a parte i miei amici. Eravamo approdati su una strana isola. Io ero un bambino, non sapevo cosa fare: stare fermi sopra una nave fa vomitare. Allora decisi di scendere. Vidi una sabbia dorata, alberi di palma e tanti uccelli che volavano in cerchio.

Valerio andò subito a prendere del cibo sulle palme, Antoine prese del legno per costruire una capanna e Riccardo iniziò a costruire delle armi da difesa.

Io mi aggiunsi ad aiutare Antoine.

Sebastian aveva costruito già sei archi e Riccardo dodici frecce.

Il problema era che non sapevamo usare gli archi. Sebastian era l’unico che sapeva usare gli archi. Invece Riccardo era l’unico a saper costruire frecce.

Io dissi: “Abbassatevi! Ci sono dei soldati!”

C’erano dei militari che avevano mitragliatrici e fucili. I militari erano otto o nove.

Riccardo disse:” Prendiamo gli archi e colpiamoli così saremo salvi!”

Valerio disse: “E’ inutile con gli archi!”

Sebastian rispose: “Almeno proviamoci!”

Antoine prese l’arco, lanciò una freccia e colpì uno dei soldati nella gamba destra. Tutti iniziammo a scoccare frecce con i nostri archi. Valerio invece con coraggio andò addosso ad un militare con la catana. Intanto i due Riccardo con Valerio e Antoine presero ai soldati le mitragliatrici e io presi il fucile.

Valerio entusiasta andò dall’ultimo militare e tutti sparammo. Alla fine della sparatoria mancavano Antoine e Valerio. Andammo a cercarli e li trovammo che ballavano con le scimmie.

Ad un tratto dai cespugli comparve una mano che prese una scimmia.

Io mi domandai di chi fosse quella mano gigantesca.

Sebastian chiese: “Era di un indiano?”

E Riccardo impaziente: “Inseguiamolo!”

Valerio precisò: “Guardate che gli indiani hanno armi!”

Io però dissi: “Noi abbiamo le armi da fuoco!”

Tutti con le proprie armi ci avviammo lungo il sentiero.

Arrivammo ad una grande capanna.

Noi rubammo il legno che serviva per costruirci una barca così scappammo proprio quando stavano per arrivare gli indiani.

La sera dopo arrivammo a casa sani e salvi. Avevamo qualche graffio, ma niente di che.

I nostri genitori arrabbiati ci chiesero: “Dove eravate?”

Noi guardandoci in faccia con malizia…: “Eravamo in gita con la scuola!”

AL POLO NORD

di Emma Cacciapuoti

Ero al Polo Nord con le mie amiche e giocavamo con la neve.

Ad un tratto vedemmo delle impronte: le seguimmo e trovammo un uomo a cui chiedemmo: “Chi sei?”

Lui rispose: “Sono una persona che vuole aiutarvi.”

Giungemmo in un bosco. Eravamo da sole. L’uomo era sparito. Cercammo di andarcene ma non c’era via di fuga. Ci accampammo in una tenda. Io avevo fame e una gran voglia di tè caldo ai frutti di bosco. Eravamo in una situazione brutta. Io non sapevo cosa fare.

Stavamo ancora cercando la via di casa poi la trovammo ma era buio. Ad un tratto il mio desiderio si era avverato: c’era cibo per tutti. Avevamo trovato uno zaino pieno di leccornie.

Riprendemmo il cammino. Poi ci sedemmo e io dissi: “Sono stanca.” Arrivò una persona a portarci via dal Polo Nord e tornammo a casa.

Mia mamma chiese: “Dov’eri?”

Io risposi: “Al parco!”

La mamma allora aggiunse: “Non è vero! Ci sei stata una notte intera. Bugiarda!”

“Mamma, ora mi ricordo. Ho fatto un pigiama party!” replicai io.

Avevo detto un’altra bugia ma di certo mia madre non ci aveva creduto….

UNA VACANZA AL POLO NORD

di Sara Livaldi

Ero andata con le mie amiche al Polo Nord per una vacanza, fredda ma tranquilla. Arrivati al Polo Nord facemmo a palle di neve e costruimmo un igloo.

Dopo il divertimento vedemmo una slitta con dei cani che la tiravano.

Noi chiedemmo: “Possiamo provarla?”

Il proprietario della slitta accettò e, in cambio di dieci euro, salimmo. I cani andavano velocissimi. Vedemmo anche l’aurora boreale! Era verdina e si muoveva. Il sole era più caldo che mai e noi ci accorgemmo che il ghiaccio si stava sciogliendo. Quindi ci mettemmo tutte vicine e… il ghiaccio si ruppe!

Non sapevamo che cosa fare, guardammo negli zaini e trovammo delle canne da pesca, quindi pescammo un sacco di pesci per pranzo.

Silvia ebbe un’idea: “Se remiamo a turni, cioè due da una parte e due dall’altra che la faremo.”

Utilizzammo quindi la slitta come fosse una zattera. Ma il vero problema in quel momento era che non sapevamo ora come ritrovare la via di casa.

Ad un tratto scorgemmo una nave in lontananza. Il capitano della nave ci vide tutte infreddolite, quindi ormeggiò l’imbarcazione e ci fece salire sulla nave. Ci diede delle coperte e una cioccolata carda. Dopo un po’ di tempo stavamo già meglio così dicemmo al capitano che abitavamo in Italia e lui ci aiutò a ritornare a casa. Così in pochi giorni ritornammo a casa.

Per una volta eravamo tutte felici di andare a scuola.

UN’AVVENTURA AL POLO NORD

di Lucrezia Piredda

Ero andata al Polo Nord a fare un’escursione. Mi ero preparata, avevo noleggiato una motoslitta rossa e nera ed ero partita.

Il paese era bellissimo: era tutto bianco e ghiacciato, gli alberi erano tutti argentati. Tutto era meraviglioso.

Ad un certo punto finì la benzina. La situazione non era tanto buona. Ero finita nei guai! Mi dovetti costruire un igloo. Per fortuna nel bagagliaio della motoslitta c’erano del cibo e delle coperte calde.

Scoppiò improvvisamente una bufera di neve che continuò per due settimane. Io aspettai che finisse.

Dopo due settimane di bufera, questa finalmente cessò. Incontrai Sara e Silvia che avevano una motoslitta e anche una slitta con degli aschi.

“Sara” dissi io “ho una scorta di cibo!”

E Silvia: “Oh! Anch’io!”

Sara invece piagnucolò perché non aveva niente, aveva finito tutto.

Continuammo e, quando la benzina della motoslitta finì, utilizzammo i cani. La sera anch’essi erano stanchi, stava per farsi notte.

Io chiesi: “Che ne dite di costruire un igloo gigantesco?”

Silvia e Sara accettarono felicissime. Con tutta la neve che c’era si poteva fare. Finimmo e ci riparammo all’interno con il cibo e le coperte. Riflettevamo su come tornare a casa, che era lontanissima.I cani nei giorni successivi morirono di fame e di freddo. La benzina era finita. L’unica cosa da fare era avviarsi a piedi. Ci incamminammo sulla via di casa.

Finalmente dopo tante ore di cammino incontrammo Andresa con una motoslitta. Noi vedemmo Andresa e anche lei ci vide. Si fermò e ci diede un passaggio fino all’aeroporto. Potemmo fare il viaggio insieme.

Arrivati in città cercammo l’aeroporto, comprammo i biglietti e poi ci imbarcammo sull’aereo.

Dopo due ore di volo eccoci finalmente a casa.

IL POLO

di Andresa Frroku

Un giorno ero andata al Polo con le mie amiche.

Il paesaggio era bellissimo! Era tutto coperto di neve ed era tutto bianco. Abbiamo scattato delle belle foto. Ma poi abbiamo cominciato ad annoiarci. Comunque abbiamo fatto dei pupazzi di neve e una battaglia a palle di neve.

Siamo andate in cerca di un rifugio e abbiamo visto un orso polare. Era gigantesco! Aveva una folta pelliccia e due occhi grandi come due ruote di carro. Abbiamo corso più veloce che potevamo ma l’orso ci inseguiva. Avevamo molta paura.Poi ci siamo nascose dietro una slitta.

Sara, la mia amica, ha detto: “Ci siamo salvate!”

Allora io ho proposto: “Possiamo prendere la slitta e tornare a casa.”

Le mie amiche sono state tutte d’accordo.

È l’ultimo giorno e stiamo tornando a casa. Lucrezia, Marta, Sara, Roxana, Linda, Silvia ed io siamo molto tristi ma dobbiamo andare. Ci salutiamo sperando di andare al Polo un altro giorno.

AL POLO NORD

di Marta Paterno

Un giorno uscii di casa e mi intrufolai su un treno che portava verso il Polo Nord. Alcune mie amiche erano già salite di nascosto come me sul treno, anche loro intrufolatesi. Giungemmo al Polo.

Io, scesa dal treno, rubai una motoslitta. Ci salimmo tutte quante ma questa aveva poca benzina, quindi non ci portò tanto lontano.

Io dissi: “Andiamo in un negozio a comprarla?”

Loro risposero di no.

E io chiesi: “Perché no?”

E loro mi spiegarono che nessuna di noi aveva i soldi necessari.

E io: “Andiamo a rubarla quando il negozio è chiuso!”

Silvia disse: “No piuttosto aspettiamo se passa qualcuno con i cani per tirarla.”

All’ultimo momento, prima di andare a rubare la benzina, incontrammo un signore che aveva i cani per tirare la slitta, gli chiedemmo di darcene cinque o sei perché la nostra slitta aveva poca benzina. Lui ce ne diede cinque e noi contente andammo da Sara che, invece di seguirci, di distraeva continuamente.

Io urlai e dissi: “Sara! Sara, vieni dai, lo so che è bello però torna qui, abbiamo preso i cani per tornare al porto e prendere una nave per tornare a casa!”

Invece di tornare in Italia arrivammo in America meridionale, allora prendemmo un’altra nave e arrivammo al Polo Sud.

Alla fine prendemmo la nave giusta che ci riportò in Italia.

Sulla nave, durante il viaggio di ritorno, dormimmo stanche per tre giorni.

Tornate a casa nostra festeggiammo con una torta.

La mamma mi chiese: “Dove sei stata?”

E io: “Sono stata a fare un pigiamaparty da Sara che aveva invitato tante altre nostre amiche!”

AL POLO SUD

di Linda Murtezi

Circa due o tre anni fa era il compleanno della mia amica Lucrezia.Ci aveva invitato una notte al Polo Sud. Non lo sapeva nessuno, solo noi, perché i nostri genitori ce lo avrebbero impedito.

Era sera e stavamo attraversando il mare con una piccola barca. Questa purtroppo ben presto affondò ma riuscimmo a salvarci raggiungendo a nuoto un’isola. Lì incontrammo un gruppo di ragazzi che ci offrirono un passaggio fino al Polo. Dopo essere arrivate, Emma e Roxana cercarono un rifugio e io e Lucrezia del cibo.

Dopo esserci riparate vicino ad una roccia, sentimmo dei rumori familiari. Lucrezia andò a guardare e appena ritornò, dietro di lei c’erano le altre nostre amiche Sara, Silvia, Marta e Andresa, che si aggiunsero alla comitiva.

Più tardi arrivarono dei bambini Antoine, Riccardo, Valerio, Sebastian e Alessandro, che ci dissero: “Andate via, altrimenti vi uccideremo!”

Andammo via dalla paura. Erano ubriachi fradici!

Appena ritornammo a casa, mia mamma chiamò le altre mamme affinché venissero a prendere i loro figli. Per punizione mia mamma mi disse che avrei mangiato per una settimana pasta già pronta.

Il giorno dopo feci alcune videochiamate con le mie amiche. Scoprimmo che la mamma di Lucrezia aveva inserito una telecamera nello zaino di Lucrezia. E da quel giorno le nostre mamme non ci lasciarono più festeggiare i compleanni da sole, finché non avessimo compiuto 18 anni.

Il video che la mamma di Lucrezia aveva fatto fu da noi sotterrato al Polo Sud. Facemmo una mappa per ritrovarlo. Fra dieci anni lo ritroveremo con l’aiuto della mappa.

Dieci anni dopo ritornammo al Polo Sud. Trovammo la mappa e il video, trovammo pure la nostra casa di cui si erano impossessati dei bambini per giocare come avevamo fatto noi tanto tempo prima.

L’ISOLA MISTERIOSA

di Sebastian Visintin

Mi chiamo Sebastian. Quando ero bambino vinsi un premio, trovato nei biscotti, di tre giorni in crociera.

Il primo giorno di navigazione ci fu una grande tempesta. Io ero nella mia cameretta e dormivo Mi svegliai per i forti rumori dei tuoni. Andai in giro per la nave ma trovai una sola persona per terra quasi senza energie. La nave era tutta sporca di sangue e c’erano centinaia di cadaveri in terra. La persona che avevo incontrato mi seguiva come se volesse aiuto.

La nave si era fermata, ma perché? Andai a controllare: si era schiantata contro qualcosa. Vicino c’era un’isola dove avrei potuto trovare risorse.

Scesi. Solo l’uomo rimase accanto a me. Appena in spiaggia eravamo solo noi due.

Arrivarono persone con archi e frecce e cercarono di colpirci. Io dissi all’uomo che mi seguiva: “Alzati altrimenti ti uccideranno!”

E lui mi disse: “Cerchiamo un’arma per spaventarli!”

Andai subito a cercarla. Trovai un’ascia e andai incontro ai nemici urlando. Si spaventarono e scapparono. Il problema era che sarebbero tornati presto.

L’uomo mi disse: “Costruiamo una capanna, per passare la notte.”

Io mi misi subito al lavoro. Alla fine il nostro riparo era diventato magnifico. Il giorno seguente mi addentrai nella foresta dicendo al mio compagno: “Vado in esplorazione nel bosco.”

Invece lui sarebbe rimasto al nostro accampamento per costruire lance ed archi per difenderci. Quando mi addentrai nella fitta boscaglia incontrai un uomo alto due metri con i capelli lunghissimi a cui io diedi il nome Tizio Alto.

Mi nascosi e quell’uomo non mi vide. Quando ritornai al campo non trovai più il mio amico. Lo avevano catturato!

Guardando bene vidi delle impronte e le seguii.

Arrivai al villaggio degli indigeni. In una gabbia c’era il mio compagno con dieci guardie armate che lo circondavano.

“Ho un’idea!” Lancio un sasso dall’altra parte così le guardie indigene se ne vanno e io posso liberarlo” penso.

Lanciai il sasso, corsi più veloce che potevo e liberai il mio compagno.

Il mio amico era salvo.

Ritornammo all’accampamento, in poche ore costruimmo una zattera e prendemmo risorse per vari giorni. Salutammo l’isola e ce ne andammo.

Quando ritornai andai subito a suonare il campanello di casa mie e quanto mia madre aprì la porta mi abbracciò e con le lacrime agli occhi mi chiese: “Ma dove sei stato tutto questo tempo?”

“Ti racconto tutto quando entriamo in casa.” le dissi.

IL POLO

di Silvia Visioli

I genitori di Sara avevano deciso di andare al mare. Avrebbero lasciato a casa Sara da sola, perché ormai era grande abbastanza per rimanere da sola qualche giorno, infatti aveva diciotto anni.

Appena i genitori partirono Sara decise di fare una gita in America con le sue amiche Marta, Lucrezia e Silvia. Allora cercò una nave che potesse portare lei e le sue amiche in America. Appena ne trovò una si affrettò a chiamare le sue amiche per dire loro di fare le valigie. Si sarebbero incontrate al porto.

Appena scesero dalla nave si resero conto che non erano in America, ma al Polo Nord. Non fecero neanche in tempo a girarsi che la nave era già partita.

Quel posto era molto freddo, c’era solo ghiaccio e una nebbia quasi impenetrabile.

Dopo qualche minuto per fortuna la fitta nebbia non c’era più. Roxana, Linda e Andresa erano già lì su una motoslitta e offrirono loro un passaggio. Però nemmeno una di loro sapeva guidarla bene.

Allora Lucrezia chiese a Roana, che guidava la slitta: “Vuoi che guidi io?”

Roxana disse: “La sai guidare?”

“Sì.” rispose Lucrezia.

Allora Lucrezia e Roxana si cambiarono di posto e Andresa indicò a Lucrezia la direzione.

Dopo circa dieci minuti arrivarono in un luogo dove c’era un igloo molto grande (poteva ospitare quattro persone) che era di Roxana, Linda e Andresa.

Allora Sara e le sue amiche ne costruirono uno per loro. Quando ebbero finito era ormai sera e Linda tirò fuori dalla slitta delle mini-pizzette ancora calde e poi andarono tutte a dormire.

Il mattino dopo andarono tutte al grande porto, presero la nave e tornarono tutte a casa loro.

Sara non fece in tempo ad entrare a casa per togliersi il cappotto, la sciarpa e il berretto di lana che arrivarono i suoi genitori e la abbracciarono forte.

L’ISOLA

di Antoine Charra

Eravamo a metà strada tra il Trentino e il Brasile, eravamo su una lussuosa nave da crociera.

Io, Alessandro, Riccardo B., Riccardo M., Valerio e Sebastian ci sdraiammo sulle nostre sdraio e ci mettemmo a guardare il paesaggio.

C’erano delfini, balene, polpi e altri pesci, insomma c’erano cose meravigliose!

Alessandro disse: “Io adoro le vacanze!”

Ed io: “Anch’io!”

Poi Alessandro disse: “E se andiamo a berci un bicchiere di vino?”

E tutti: “Siiiì!”

“Ehm. Ma un bicchiere di vino era solo un modo di dire!”

Intanto si era fatto tardi e tutti stavano andando a letto. L’indomani saremmo arrivati in Brasile.

Mentre dormivamo si sentì un grande BOOM e ci svegliammo.

“Uhm, che cosa pensate che sia?” disse Valerio.

E Sebastian: “Non lo so, andiamo a vedere!”

E tutti: “Sicuro?”

“Sì.” disse Sebastian.

Arrivati di sopra vedemmo che la nave stava affondando e tutti stavano scappando. Poi, non so perché, svenimmo…. Era mattina, ci risvegliammo per il suono delle onde. Solo molto tempo dopo avremo capito che eravamo svenuti a causa di una perdita di gas che ci aveva fatto perdere conoscenza.

Riccardo B disse: “Dove siamo?”

Riccardo M. disse: “Su un’isola.”

Ci mettemmo ad urlare. Cercammo anche qualcuno che ci potesse aiutare, ma non c’era anima viva.

Alessandro disse poi: “Non è il caso di disperarci, piuttosto costruiamo un riparo e delle armi!”

Ed io: “Se lo dici tu.”

Ci mettemmo al lavoro, due ore dopo avevamo tutti fame e freddo.

“Vado a cercare nella nave del cibo, dell’acqua e delle coperte.”

E tutti: “Sarebbe molto utile, intanto noi andiamo a cercare legna.”

Ed io: “Ok!”

Loro dissero: “Wow, c’è un vulcano, andiamo?”

Ed io: “Io no, devo ricoprire il rifugio di fango!” (Era una scusa per non andare, avevo sentito parlare di core terribili sui vulcani).

Poi loro dissero: “Non sai che cosa ti perdi!”

Valerio esclamò: “E se giochiamo a un bel videogioco?” 

Ma Sebastian con aria disperata disse: “Ma sei pazzo?  Siamo sull’isola di Sant’Elena!”

Detto ciò, i miei amici partirono mentre io rimasi al campo.

Dopo un’ora sentii dei versi che facevano uga uga. Allora decisi di andare. Presi delle armi, del cibo e dell’acqua. “I miei amici potrebbero avere fame o sete.” pensai.

Arrivato in cima al vulcano vidi che i miei amici erano appesi sopra il vulcano!

Tutti gridavano: “Aiuto! Aiuto!”

C’erano anche due indiani che venivano verso di me.

Poi pensai: “Ma adesso mi ricordo. Prima di partire avevo cercato sul traduttore come si diceva ‘ho del vino’ nella loro lingua”.

Allora io dissi: “Uga, ug!”

Gli indiani dissero poi: “Ug, Ug.” (Vuol dire ‘dacci il vino’).

Allora io riempii due otri di vino. Finito il vino gli indiani erano ubriachi!

Io poi dissi: “Ug, uga, uga, ug!” (Vuol dire ‘per altro vino ridatemi i miei amici”).

I soldati ubriachi liberarono i miei amici e poi scappammo al rifugio.

Ma altri indiani ci attaccarono e Sebastian fu colpito da una freccia sulla gamba. Per fortuna un aereo militare passò proprio in quel momento perdendo un fucile che noi prontamente recuperammo. Iniziammo a sparare e gli indiani scapparono. Finita la battaglia andammo tutti da Sebastian e lo adagiammo su un mucchio di foglie, coprimmo la ferita con le foglie e la bagnammo con l’acqua. Poi ci dividemmo in due gruppi, uno aiutava Sebastian e l’altro costruiva una zattera.

Sistemato tutto partimmo. Ma un’onda ci ributtò sulla spiaggia. Riprovammo ma non c’era verso. Allora aspettammo che le onde si calmassero.

Il giorno dopo partimmo. Arrivammo in Italia e giunto a casa vidi la nonna che disse: “Ciao Antoine! Dove sei stato?”

“In un’isola. Ma dove sono i miei genitori?” dissi io.

“In Francia.” disse la nonna.

Poi io: “Aiuto, su quell’isola ci siamo stati un anno!”

Avevo solo allora capito quanto tempo era passato.

UN GIRO IN CROCIERA DISASTROSO

di Riccardo March

Un anno fa era il mio ottavo compleanno e i miei genitori avevano deciso di fare in anticipo un giro in crociera.

Appena arrivammo, fummo sorpresi dal paesaggio, era bellissimo. Il sole stava tramontando, c’erano molte isole e il mare, con in mezzo un grande vulcano. C’erano anche i gabbiani che sorvolavano le rive in stormi. Ero incantato.

Vidi l’orologio, erano già le dieci, quindi andai a letto, ero stanchissimo.

Ma al mio risveglio…

Non ci credevo, non c’era più nessuno a bordo tranne un signore che guardava un programma in TV nella stanza vicino alla mia. Mi feci coraggio, entrai nella stanza e… non successe niente, era una brava persona! Tirai un sospiro di sollievo. Allora chiesi: “Ehi signore, mi potresti aiutare a fare una cosa?”

“Ma certo!” rispose lui sorpreso.

Allora gli spiegai il piano: “Dobbiamo cercare di scendere dalla nave per rifugiarci su un’isola. Credo che tutti gli altri siano caduti in mare.”

“Va bene.” rispose lui sicuro di sé.

Cercammo di scendere, le porte erano bloccate ed io non sapevo guidare una nave da crociera, ero ancora troppo piccolo. Chiesi al signore: “E tu? Sai guidare una nave da crociera?”

“Sì.” mi rispose lui, ma il motore non funzionava e quindi decise invece di aprire le porte.

Appena scendemmo, era caldissimo. L’isola era molto piccola, mi accorsi subito che non eravamo soli….

Ad un tratto sentimmo scoccare una freccia, ma da dove?

Io ebbi un dubbio, mi sembrava un po’ sospetto il signore. Sentimmo una vocina che proveniva dal vulcano, mi avvicinai e vidi un piccolo bottone rosso con scritto ‘Non premere il pulsante’. Io, incuriosito, lo schiacciai e…

Wow si aprì una porta misteriosa! Mi sembrava un laboratorio scientifico, ma feci appena un passo e il signore mi prese e mi legò ad una colonna.

Era uno scienziato, lo avevo immaginato. Per fortuna avevo in tasca il coltellino nuovo, che mi aveva regalato mia zia, e potevo tagliare le corde. Le tagliai facilmente riuscendo a liberarmi mentre lui era distratto. Presi il telefono, anche questo nuovo, abbassai il volume e i suoni. Chiamai un mio amico che aveva una barca a motore.

“Pronto? Alessandro?” dissi a bassa voce. “Visto che oggi sei con Antoine, Valerio, Riccardo e Sebastian, potreste venire con la barca sull’sola di Ibiza?”

“Perché?” mi chiese.

“Lunga storia!” dissi, sempre a bassa voce.

“Va bene.” mi rispose Alessandro.

“Dovete essere qui il più presto possibile!”

“Sì, va bene.” Mi rispose sempre lui.

Alle sei e mezzo i miei amici giunsero sulla riva dell’isola, li intravidi dalla porta semichiusa e feci un segno per farli entrare. Appena entrarono lo scienziato si girò.

Urlammo in coro: “La tua carriera da scienziato finisce qui!”

Chiamai la polizia che arrivò subito. Quindi salimmo alcuni sulla barca di Alessandro e altri su quella dei poliziotti. Passarono due ore. Appena arrivai a casa corsero tutti alla porta per abbracciarmi e mi dissero: “Ci sei mancato, per fortuna sei vivo, pensavamo che fossi morto!”

Durante la cena raccontai tutto il mio avventuroso viaggio ai miei genitori.

È stata una bellissima avventura, nonostante tutto.

UN GIRO IN CROCIERA

di Valerio Marianello

Era l’ultimo giorno di scuola ed eravamo felicissimi perché io e i miei amici saremmo andati in vacanza insieme. Suonò la campanella, che avevo aspettato da nove mesi, e uscimmo. Tutti i genitori dei miei compagni erano già in macchina. Mamma e papà mi dissero che saremmo andati tutti insieme in Sardegna. Ero felicissimo così avremmo nuotato insieme e ci saremmo schizzati l’acqua addosso.

Dopo un po’ di ore di macchina, che mi sembrarono pochi minuti, arrivammo al porto. Salimmo sulla nave appena in tempo. Eravamo io, i miei compagni e i nostri genitori.

Finalmente la nave partì.

Mentre andavamo in Sardegna dissi ai miei amici: “Andiamo a cercare il cibo da portarci nelle stanze,” perché avevamo una stanza tutta nostra, “così non dovremmo risalire dopo!”

Riccardo esclamò: “Sempre il solito ciccione!”

Tutti risero. Ovviamente Riccardo l’aveva detto per ridere.

Invece Alessandro disse: “Sembra una buona idea, andiamo.”

Andammo a prendere il cibo, o almeno ci provammo perché nessuno sapeva dove fosse il cibo.

Io pensai: “Forse ce lo darà qualcuno!”. Allora dissi: “Torniamo in stanza, è lo stesso.”

Appena arrivammo in stanza sentimmo un BOOM!

“Siamo già arrivati?” disse Sebastian.

“No,” aggiunse Alessandro “la nave avrà sbattuto contro qualcosa, andiamo a vedere!”

Andammo all’oblò e vedemmo un’isola, era l’isola di Pianosa.

La nave ci aveva sbattuto contro e Riccardo urlò spaventato: “Corriamo alle scialuppe!”

Riuscimmo per fortuna a salvarci con le scialuppe.

Arrivammo sull’isola ed era sera. Ma c’eravamo solo noi. Dei nostri genitori, degli altri passeggeri e dell’equipaggio non c’era traccia.

Trovammo un riparo non molto invitante. Riccardo disse: “Meglio di niente…”

Ci fermammo lì per dormire.

Il giorno dopo ci svegliammo e ci accorgemmo che non eravamo da soli: c’erano degli indigeni che ci fissavano.

Antoine urlò: “Ah!”

Ma Alessandro gli tappò la bocca: “Non urlare, potrebbero parlare la nostra lingua e rivelarci qualche segreto!”

Antoine annuì e nessuno parlò più. Dopo un po’ gli indigeni dissero: “Siamo pacifici.”.

Antoine, il più coraggioso di noi, disse: “Ma allora parlate la nostra lingua! Ah, giusto! Siamo in Italia!”

Poi si scoprì che gli indigeni avevano tutti dei figli.

Noi eravamo molto tristi quindi si mettemmo a guardare il cielo insieme agli indigeni.

La sera questi se ne andarono. Provammo allora a costruire una zattera per partire. Riuscimmo a costruire la zattera ma quando la portammo in acqua essa affondò.

Alessandro, che era andato a prendere il legname, disse con aria triste: “Il legno è finito!”

E tutti dissero in coro: “Torniamo alla capanna!”

Passò un altro giorno.

Il giorno dopo mi svegliai e mormorai: “Amici, amici, svegliatevi!”

E loro dissero: “Che succed…ah!”

Eravamo appesi ad una corda sopra delle lame gigantesche.

Gli indigeni erano tanti. Ci dissero che il legname usato era la loro ultima risorsa e visto che lo avevamo sprecato ci avrebbero tagliati come noi avevamo fatto con le loro risorse.

Pensavamo di essere spacciati quando arrivò Riccardo Bazzanella che salutò i presenti. Poi spinse quelli che stavano di guardia e tagliò lo stretto filo che ci legata così da farci andare dall’altro lato.

Salimmo e urlammo insieme: “Siamo salvi!”

Poi Antoine chiese: “Ma dove sei stato fino ad ora?”

“Avevo fame e ho cercato il cibo l’ho trovato l’ho preso e poi sono uscito e vi ho trovati”.

Uscimmo e poi vedemmo la scialuppa che avevamo lasciato prima.

“Che sciocchi che siamo!” disse Sebastian.

Salimmo sulla scialuppa. Navigavamo e navigavamo, esattamente nella direzione opposta della punta della nave e della scialuppa. Dopo tante ore che navigavamo arrivammo davanti ad un porto, non sapevano quale fosse all’inizio, poi io esclamai: “E’ il porto di Genova!”

L’avevo capito da una giostra perché io c’ero stato una volta.

Trovammo cento euro per terra e urlammo: “Siamo ricchi!”

Prendemmo il treno che portava più vicino a Cavalese (dove abitiamo noi) e poi un autobus che portava a Cavalese.

Arrivammo a Cavalese.

Io dissi: “Ma come facciamo senza genitori?”

Poi Alessandro si ricordò che suo padre era rimasto a casa perché aveva avuto la febbre ma si poteva occupare di noi quindi esclamò: “Venite tutti da me!”

E tutti noi rispondemmo: “Sì!”

Quando arrivammo a casa di Alessandro, questo esclamò: “Papà, sono tutti invitati!!!” E da quel giorno vissi insieme ai miei amici.

PERCHE’ SIAMO FINITE AL POLO NORD

di Roxana Timis

Un giorno sono andata con le mie amiche Sara, Marta, Silvia, Lucrezia ed Emma al Polo Nord per divertirci un po’.

Quell’ambiente era molto bello perché c’era tanta neve, era davvero un ambiente indimenticabile, almeno per noi. Prima di andare avevamo controllato se c’era tutto nello zaino e se eravamo vestite per bene perché lì fa molto freddo e non volevamo ammalarci. Quando siamo arrivate abbiamo giocato con la neve, però dopo eravamo tutte congelate: ci mancava l’estate.

Morivamo di fame ma purtroppo l’autobus era andato via, eravamo molto preoccupate. Abbiamo visto che c’era l’orario dell’autobus però sarebbe tornato l’indomani. Sara era molto preoccupata per il suo gatto perché sarebbe morto di fame come noi.

Marte disse: “Non preoccupatevi, passerà subito la notte, domani saremo di nuovo in Italia.”

Lucrezia propose di unire le panchine e di metterci a dormire.

Il problema fu l’indomani perché non passava l’autobus.

Emma esclamò: “Guardate! C’è l’orario ed è passato alle cinque del mattino!”

Emma propose nel frattempo di andare a vedere se c’era la fabbrica di Babbo Natale.

Emma ci pensò un po’, poi disse: “Ma come facciamo a vedere dove si trova? Forse possiamo fare una torre di neve e poi arrampicarci sopra!”

Quindi tutte iniziammo a fare una torre e quando finimmo Sara si arrampicò in cima ma affondò nella neve.

Lucrezia si arrampicò e gettò giù una corda così Sara poté salire.

“Guardate! Vedo la fabbrica” disse infine.

Tutte contente ci incamminammo e trovammo la fabbrica.

Silvia bussò alla porta toc toc: “C’è qualcuno?”

Alla fine Babbo Natale ci ospitò volentieri. Ci chiese perché eravamo finite là. Marta spiegò i motivi mentre un elfo di nome Pino ci preparava la cioccolata calda e delle coperte per riscaldarci un po’.

La cioccolata calda era molto buona e le coperte calde e morbide.

Era molto bello stare là.

Emma si alzò e guardò il calendario: “Guardate! Non è possibile! È il 25 dicembre!”

Tutte pensavamo che Emma facesse una battuta. Quindi ci alzammo in piedi per vedere. In quel momento arrivò Babbo Natale e ci disse: “Lo sapete che stasera è il giorno di Natale?”

“Ma come? Noi siamo partite il 21 novembre!”

“Tra poco vi dovrò portare a casa!”

“Vestitevi; tra poco Babbo Natale vi aspetterà fuori.” disse Pino.

“Sì, va bene!”

Quando arrivammo era molto bellò perché c’erano l’albero, le decorazioni e tanta neve.

Babbo Natale ci lasciò vicino a casa di Emma.

Sara corse a casa a vedere come stava il suo gatto e visto che era lì Emma le disse: “Prenditi il pigiama e vieni a casa mia a fare il pigiamaparty con le altre.”

Quando entrammo la mamma di Emma ci chiese dove eravamo e che cosa avevamo fatto.

Tutte noi raccontammo e siccome avevamo fame la mamma di Emma ci diede venti euro per andare a comprare la pizza. Dopo mangiato abbiamo raccontato l’accaduto più con calma.

Quel Natale fu davvero indimenticabile e non vedevamo l’ora che arrivasse Babbo Natale.